Non sono mai stato quel tipo d’uomo,
pulito.
Ricordo quante volte ne abbiamo parlato,
io e il mondo,
di quanto fosse abbastanza,
e dove fosse abbastanza.
Ho chiesto a una donna,
che non conosco,
di tenere i confini,
e ho chiesto a me stesso:
stai bene?
Rubo violini,
cerco musica,
svanisce l’egoismo,
forse non è una colpa.
Quando guidavo la nostra vita,
mi ricordo,
difficilmente ero sobrio.
E un giorno realizzo,
che lei era perfetta per me,
come un pugno può esserlo per le mie labbra.
Sogno mio figlio,
lui dorme.
E penso,
all’amore.
Ancora.
E ti chiedevo: come stai?
Ma non volevo sentire la tua voce,
rispondermi,
con un’altra notte insonne.
Cercavo le tue ali,
in cucina, appoggiati a un mobile freddo.
Ma le tue ali,
non avrebbero potuto farti volare,
nemmeno per me.
Sta succedendo adesso,
viaggio,
potrei dire di più,
dovrei non ridere.
Del fatto che ai tuoi occhi,
io sia un fallimento,
i nostri giorni insieme siano stati,
un piccolo errore dimenticabile.
Lascio le chiavi nella macchina,
parole.
Ombre,
bugie.
Guanti spessi,
blu,
per riprendere la mia libertà,
tenerla stretta tutta la notte,
discutendo con le mie ombre,
separando la mia mano
dal fuoco che la circonda.
Dolore,
lo stesso rumore di un capannone abbandonato,
lo stesso odore di un ponte di mattoni,
le stesse rivelazioni di una pelle nuova.
Ho lasciato che fosse una donna che non conosco,
a non lasciarmi pensare.
Mi alzo e mi dimentico di respirare.
Solo il coraggio,
potrà dire quando smetterà,
questa guerra.
Prenditi cura di quelli che ami,
io me ne vado,
smettendo di respirare,
dovrai stare con qualcuno differente.
Altra pelle,
se ne hai il coraggio.
Altri respiri,
se puoi riuscire ad ascoltarli.
Altro.
Che faccia meno male.
Ombra che non ritorna,
prima o poi,
tutti dobbiamo alzarci,
provando a perdonare tutto.
Io me ne vado.
Rubo rose e violini,
e li porto con me fino alla riva,
acqua fredda,
aspettando curioso,
un confine dettato.